Calamitosus est animus futuri anxius
(Seneca)

martedì 18 settembre 2012

Cent'anni di solitudine- Gabriel García Márquez


Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.

Lo zingaro veniva deciso a restare nel villaggio. Era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine.

Nella scuola semidistrutta dove aveva provato per la prima volta la sicurezza del potere, a pochi metri dalla stanza dove aveva conosciuto l'incertezza dell'amore, Arcadio trovò il ridicolo formalismo della morte. 



    Era arrivato alla fine di ogni speranza, più in là della gloria e della nostalgia della gloria. 


      Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilamento non si consumava, perché continuava ad annichilarsi indefinitivamente, consumandosi dentro di sé stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai. 



        Non gli era mai venuto in mente fino allora di pensare alla letteratura come al miglior giocattolo che si fosse inventato per burlarsi della gente.


        Allora saltò oltre per precorrere le predizioni e appurare la data e le circostanze della sua morte. Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell'istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.


        11 commenti:

        1. Carissima Martina,
          ho parlato di te nell'ultimo post in occasione del primo anniversario di Oasi della Pace.
          Ancora grazie di tutto e un saluto!

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        2. Davvero un bel post, mi lascia dietro una scia di pensieri ^_^ uno sulla solitudine e uno sulla grande importanza della vita e del "Carpe diem" ..
          Un caro saluto
          Sally

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        3. Carissima Martina, ho finalmente creato sul blog l'elenco dei blog che seguo... chiaramente ci sei anche tu! Un abbraccio!

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        4. bellissimo post!
          un dolcissimo ed elfico saluto

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        5. Quando inizia a leggere questo libro... dopo un bel pò di pagine stavo perdendo il filo. Così ho dovuto ricominciare con carta e penna per appuntarmi l'albero genealogico di quella grande famiglia (internet non era ancora così diffuso per poterlo stamapare)..libro interessante che almeno una volta (o una volta e mezza va letto)
          Un carissimo saluto
          ps: se passi dal nostro blog Marril ha dedicato un post alla bellezza dei libri e al piacere di leggerli

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        6. C'è un premio per te sul mio blog: http://www.unlibroperdueamiche.blogspot.it/2012/11/premio-unia.html#comment-form

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        7. Ma dove sei finita??? Lo sai che manchi? :'3

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        Saper di esser letta è per me fonte di gioia!