Calamitosus est animus futuri anxius
(Seneca)

mercoledì 22 luglio 2015

Questo intramezzo di pausa estiva fa sì ch'io goda d’una breve parvenza di illusoria felicità. Trascorro le mie giornate tra diletti, studiando, leggendo, scrivendo, traducendo, coltivando quella che è la mia peculiare disposizione a trattare con la parola scritta, con la ruvidezza della carta e dello scorrere del pennino, con l’odore precipuo delle fibre di cellulosa, tanto inconfondibile quanto vario da libro a libro. Mi beo nella ritrovata serenità, lascio che il caldo obnubili i miei pensieri, creando, con la sua cappa afosa, uno schermo alle angustie ed alle apprensioni che il futuro so riservami. Così come ora il mio corpo è cinto dalle pareti della mia stanza, la cui finestra, chiusa, mi preserva dal temporale e la porta dai rumori domestici, la mia mente riposa quieta, incredibilmente quieta, in una bolla opalescente. I lontani affanni mi arrivano attutiti, come le gocce di pioggia che intaccano la superficie d’una piscina durante un’acquerugiola, ne infrangono l’omogeneità, ma ne vengono presto inglobate, cosicché il loro impeto, dopo che l’onda si è propagata, si spegne.
Eppure, di tanto in tanto, sento le mie difese scricchiolare ed allora intravedo l’anno a venire, il turbinio di studio, attività, concorsi, prove, letture, sport, esami, gare che un’alunna perfetta non può che svolgere alla perfezione, intravedo il quinto anno, la maturità e, ancor più nitido, l’esame per l’università in cui tanti sogni ho convogliato, per cui tanto sforzo ho fatto e farò.
Mi sento inerme. Mi sento incapace di sopportare tanta pressione, di raddrizzare le mie spalle, curve sotto il peso di mille ingerenze.

Ciononostante, ce la farò. Nessuno ha mai potuto incrinare la mia forza di volontà, nulla ha potuto farmi cadere bocconi, niente ha potuto distogliermi dai miei intenti, mai. Ed ora che il dolore che non mi ha ucciso è andato a fortificare la mia anima, son certa, pur nei mille dubbi e tormenti, ch’otterrò quel che ho meritato, che questa bolla in cui giaccio sarà di sapone se confrontata con la graniticità del mio incedere nel mondo.

mercoledì 1 luglio 2015

A l'aire claro ò visto pioggia dare


A l'aire claro ò visto pioggia dare
ed a lo scuro rendere clarore
e foco arzente ghiacchia diventare
e freda neve rendere calore.
E dolzi cose molto amareare
e de l'amare rendere dolzore...




Jacopo Da Lentini in tale poesia parlava dell'amore, ma ciò non toglie che esaa s'adatti a ben diverse situazioni; che s'adatti alla mia vita, ad esempio.
A questa vita che non mi ha reso quel che ha promesso allor, che mi ha ferito laddove pensavo non potesse, intaccando ciò in cui il mio sentimento era più  forte, la mia fiducia priva di sospetto. Questa vita che, tuttavia, mi ha sorpreso, consolandomi di ciò che si è fatto pioggia, ghiaccio e amaro, facendo sì che trovassi inaspettatamente conforto, che nell'amarezza scorgessi un retrogusto delicato e dolciastro. 
Che differenza v'è tra le righe d'un tempo e quelle odierne, quanto desidererei abbandonare questa valle di lacrime e tornare al dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia!
La mia consolazione sta nel fatto che, per continuare con le citazioni, hic dolor olim mihi proderit -come diceva Ovidio- o ancora la nube nel giorno più nera è quella che vedo più rosa nell'ultima sera, a quanto dice Pascoli.
Forse, più semplicemente, questo umor cupo passerà, questo anno, mano a mano, si farà nella mia mente più sfocato e finirà per non procurarmi più dolore.